La storia

Il Castello di Montegridolfo è un borgo murato abitato da artigiani e facoltosi agricoltori, quindi non era una residenza signorile (a differenza di Gradara) o un insediamento militare (come la rocca di Montefiore).

Situato nel territorio di confine tra Romagna e Marche, la sua storia è caratterizzata da continui attacchi e conquiste da parte dei Malatesta e dei Montefeltro, ai quali apparterrà vicendevolmente per vari anni. Già un primo castello esisteva nell’anno 1000. Nel 1148 apparteneva all’abbazia di San Pietro di Rimini e fu in seguito un comune ghibellino. Infatti agli inizi del XIII secolo le città ed i comuni della provincia venivano definiti a seguito dell’alleanza della fazione nobiliare che dominava. Se la famiglia era insieme al Papa venivano chiamati guelfi altrimenti, se uniti all’imperatore, ghibellini.

I guelfi romagnoli tentarono più volte di impossessarsi del castello di Montegridolfo, in particolare i vicini di Mondaino e di Saludecio che saccheggiarono la chiesa di San Pietro di Montegridolfo e ne bruciarono i libri sacri. Per questo vile gesto vennero chiamati traditori e odiati dai Montegridolfesi per molti secoli.

Malatesta e Montefeltro

Visuale del borgo dall’alto

Dopo che un tumulto popolare avvenuto a Rimini decise in favore dei Malatesta, le cose per Montegridolfo cambiarono in peggio. La famiglia Malatesta assunse il controllo della città e legò il proprio nome alla costa adriatica della Romagna e delle Marche. Contemporaneamente però nasceva la signoria dei Montefeltro nell’entroterra del vicino territorio di Urbino.

Nasce così la rivalità tra Malatesta e Montefeltro e Montegridolfo si trova proprio sul confine!

Nel giungo del 1336 Ferrantino Malatesta (fratello rivale del Duca di Rimini), alleatosi con i nemici Montefeltro, attaccò il castello di Montegridolfo recandovi moltissimi danni. I Malatesta per non soccombere all’attacco traditore assoldarono milizie fiorentine, costrinsero Ferrantino a ripiegare su Urbino e cosi il castello di Montegridolfo rimase ai Malatesta che negli anni successivi lo restaurarono costruendo mura più alte.

Il castello aveva la forma rettangolare, con agli angoli 4 torrioni; oggi ne è rimasto uno solo (dove è presente il bar), più quello trasformato in torre campanaria con la porta, gli altri due probabilmente sono stati inglobati nel Palazzo Viviani, oggi hotel.

Lo Stato Pontificio

Entrata al borgo

Dal 1500 al 1503 Rimini e il suo contado, compreso il castello di Montegridolfo, riconoscono l’autorità del Duca Valentino Borgia, figlio del Papa Alessandro VI. Con la morte del papa, Valentino si rende conto di non poter mantenere il dominio con una certa stabilità, e apre trattative con Venezia per cedere quanto ancora possiede, tra cui Montegridolfo.

Il centro storico conserva il suo aspetto medioevale anche grazie all’ardita rampa del cassero e alle arcate gotiche del bel salone della “grotta azzurra” oggi è una bellissima sala conferenze. Poco più in là del torrioncino si innalzava il campanile con l’attigua casa del campanaro e con il forno municipale ( usato come pizzeria in estate), mentre il torrioncino serviva da archivio-notarile.

Ma la Romagna apparteneva allo Stato Pontificio, che non accettava l’estensione di Venezia verso le sue terre e così sponsorizzò un’alleanza tra Francia, Austria e Prussia, detta Lega di Cambrai per attaccare la lega veneziana. Nel 1509, durante la battaglia di Agnadello, la Lega di Cambrai sconfigge Venezia e lo Stato Pontificio riprende le terre romagnole sotto il suo dominio. Montegridolfo vi rimarrà fino al 1861, anno dell’unità d’Italia.

Montegriddolfo fin dal 1500 fu sede del comune Capo Officio, cioè rivestiva un grado superiore perché aveva più di 1000 abitanti, quasi tutti appartenenti alle principali e più colte famiglie del luogo. Aveva alle dipendenze i castelli di Meleto e di Cerreto. Il Capitano che guidava la giunta era un nobile riminese che sceglieva i consiglieri tra le persone più benestanti.

Il restauro

Vie del centro

Nella piazza centrale vediamo alla nostra destra il Municipio con lo stemma di Montegridolfo, un ulivo, in riferimento alla coltivazione locale più diffusa e rinomata. Dovete sapere infatti che Montegridolfo deriva dal germanico Hrodulph, Ridulfus, che deriva dal latino reduvius, sterposo, rozzo, che si addice alla qualità del terreno. Di fronte a voi appena varcato l’arco si ergeva la Chiesa di Sant’Agostino, demolita alla fine degli anni ’40 da un bombardamento. Alla sinistra quel che resta della Chiesa è la Cappella di Sant’Antonio, fatta erigere nel 1906 dal Conte Viviani per ringraziare il Santo perché la moglie aveva dato alla luce una bambina primogenita. 

Con la seconda guerra mondiale, Montegridolfo subì gravi danni ed i primi restauri iniziarono nel 1988 terminando ben 6 anni dopo nel 1994 grazie all’azione del comune e della Regione (8 miliardi delle vecchie lire), di Montegridolfo s.p.a., la cui maggiore esponente è la stilista Alberta Ferretti (12 miliardi spesi), e di molti altri privati cittadini. 

Ci sono 3 vie principali: via Roma (la via centrale), via mura nord e via mura sud. Proseguendo per queste vie si arriva a Palazzo Viviani, l’unica casa patrizia del castello, fatta erigere dal Conte Viviani di Urbino agli inizi del 1800. Il conte aveva inoltre fatto costruire l’agrumaia (oggi proprietà dell’hotel Viviani), per poter mettere gli agrumi (arance e limoni) durante l’inverno per ripararli dalla bora. 

Chiesa di S. Rocco

Ai piedi delle mura del Castello si trova la storica Chiesa di S. Rocco che sembrerebbe risalire al 1427. Fu costruita fuori della cinta muraria, parallelamente allo sviluppo urbano della contrada, in quanto all’interno del castello esisteva già la chiesa di Sant’Agostino.

Gli stili che la caratterizzano sono diversi: la porta è in stile gotico, mentre l’arco sull’altare è in stile romanico. Durante il XVI secolo accanto alla chiesa sorgeva l’ospitale dei poveri che, in tempo di pestilenza, fungeva da lazzaretto per il ricovero degli appestati. Internamente l’oratorio possedeva un solo altare, eretto a ridosso del muro, che nel 1774 fu demolito e ricostruito più avanti di circa due metri, creando uno spazio per il coro. Nel 1893 sulla parete di destra nelle prossimità dell’ingresso fu inaugurato un altare dedicato all’Assunzione di Maria a ricordo del quale attualmente è appesa una tela che rappresenta la Vergine Maria assunta in cielo.

Nel 1959 furono ultimati i lavori di ripristino per i danni provocati dalla seconda guerra mondiale, tra cui la riparazione del soffitto absidale e la sostituzione del portale. La particolarità di questa chiesa è la presenza di tre dipinti nella stessa parete absidale con lo stesso soggetto: la Madonna e il bambino con i santi Sebastiano e Rocco (i santi della peste).

I tre dipinti sovrapposti

Dipinto presente nella Chiesa di S. Rocco

Il primo affresco, sulla parete di sinistra, sembra risalire al 1487 per mano di pittori ignoti. L’opera mostra un uso ancora debole della prospettiva, le dimensioni delle figure sono dettate da leggi gerarchiche di devozione. I Santi Rocco e Sebastiano paiono marionette dai movimenti composti e suadenti entro un teatrino di lusso. Il dipinto venne staccato dal muro nel 1987 e rivelò durante il restauro i colpi dello scalpello messi a segno per farvi aderire lo strato di intonaco sul quale venne realizzato il secondo dipinto murale (infatti appaiono sullo schienale azzurro del trono alcuni segni del motivo decorativo dello schienale del quadro successivo).

Il secondo affresco è il più rovinato dei tre, sembra che l’affresco sia stato eseguito attorno al 1520-1525 dal Girolamo Marchesi da Cotignola, per festeggiare la fine della peste, che dal 1519 al 1524 colpì l’intera valle del Conca. Rispetto al primo affresco, qui i santi appaiono invertiti, la prospettiva acquista un risalto maggiore a favore di una più evidente scenograficità della composizione. 

Il terzo affresco è il più famoso, realizzato dal Cagnacci, la tela fu donata dall’antica illustre famiglia Vermigli per devozione verso San Giacinto, protettore delle gestanti e partorienti, per ringraziarlo del buon esito della gravidanza della moglie Griselda in età avanzata ed esposta al rischio di morte per parto. Questo dipinto venne anche prestato nel 2010 per allestire una mostra a Forli dedicata proprio al Cagnacci.

San Sebastiano era un ufficiale dell’imperatore romano, un cristiano che aiutava i lebbrosi e fu ucciso dagli arcieri dell’imperatore nel 300DC, mentre San Rocco era un monaco francese del 1300 che curava i lebbrosi. Quando si ammalò un cane per tre mesi gli portò da mangiare (si vede il cane e la pagnotta di pane ai piedi del santo).

Guido Cagnacci (1601-1663)

Guido Cagnacci

Guido Cagnacci nacque a Sant’Arcangelo di Romagna e fu un grande pittore del 1600. I suoi maestri furono Guercino, Guido Reni e Caravaggio. Purtroppo però il Cagnacci era un felice ingegno e un’infelice fortuna, perché aveva un debole per le donne e si innamorò di una contessa vedova e ricca. I due fuggirono insieme, ma vennero bloccati dalla polizia pontificia su ordine dello zio della donna, un cardinale. Il Cagnacci era un tipo inquieto e trasgressivo, e finì per inimicarsi concittadini e clienti. Gli ultimi anni li passò a Vienna (dal 1659 al 1663) alla corte dell’Imperatore d’Austria. Durante questo periodo produsse diversi dipinti di Cleopatra.

Il gruppo Madonna col Bambino e San Giacinto è isolato dal resto del quadro. Notare il San Giacinto dalle sembianze molto femminili. Per adattare la dimensione del dipinto a quella della parete absidale, la tela, nella seconda metà del XVIII secolo, fu incorniciata dal finto drappo in tela dipinto a tempera con angoli e figure allegoriche.